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Un condominio per soli papà!

Le percentuali di separazioni e divorzi sono già da tempo molto elevati in Nord Europa, ed hanno raggiunto ormai anche qui in Italia tassi di diffusione altrettanto alti.
Gli ultimi dati dell’Istat ci dicono che nel 2008 le separazioni sono state 84.165 e i divorzi 54.351. Rispetto al 1995 le prime sono praticamente raddoppiate mentre i secondi sono aumentati di oltre una volta e mezza. Ben noto a tutti è come, in queste situazioni, quando ci sono i figli, siano proprio quest’ultimi che ne fanno maggiormente le spese.
I protagonisti delle separazioni però, oltre i figli, sono i due coniugi ognuno nella propria individualità.
Tra mutuo, alimenti all´ex moglie e le spese legali, i papà, anche quelli appartenenti alla classe media che lavora, si trovano spesso a far fronte ad una quantità di spese talmente elevata da finire con il dover fare i conti con serie difficoltà economiche. Osservazioni attuali riportano un quadro nel quale i papà separati si trovano nell’impossibilità di pagarsi un affitto (tanto meno la rata di un mutuo) e pertanto sono costretti a chiedere aiuto a qualcuno, amici, genitori o parenti, tornando magari a 40 anni a casa da mamma e papà.
Quale realtà ci troviamo di fronte?
Come testimoniato da osservazioni cliniche e da varie indagini, alcuni papà “sfruttano” la situazione della separazione per allontanarsi dalle loro responsabilità, ma altrettanto di frequente i papà vorrebbero esercitare al meglio la propria paternità.
Proprio per venire in supporto a questa categoria di papà è nato il “condominio dei papà”.
Grazie alla collaborazione di alcune associazioni e di Enti Territoriali, a Roma, in zona Castel Monastero, sono stati realizzati moduli abitativi autonomi (20 bilocali), che possano fungere da temporaneo punto di permanenza per papà (con precise caratteristiche di reddito).
L’obiettivo è fornire un sostentamento, pur se temporaneo, ma che permetta ai papà di vedere i propri figli in un contesto adeguato (e non necessariamente in un bar o al cinema perché non si ha un tetto in cui accoglierli), nello stesso tempo di organizzarsi per trovare una soluzione abitativa permanente.
Ad ogni papà viene fornito l’appartamento al costo di 200,00 euro mensili per un periodo massimo di 12 mesi.
L’obiettivo non è semplicemente fornire un posto in cui vivere ma è cercare di sfruttare al massimo la motivazione positiva di partenza dei papà e la loro profonda intenzione di poter svolgere il loro ruolo paterno. Questi papà non vogliono che i figli percepiscano il tempo trascorso con loro solo come il momento “parco dei divertimenti” ma come un costante punto di riferimento.
Ascoltando le loro voci, arriva forte il messaggio di quanto ritengano importante non tralasciare l’educazione dei propri figli ed al contempo la forte voglia di non perdere la loro dignità personale e la capacità-possibilità di occuparsi della propria sussistenza e di quella dei propri figli.
Un evento rilevante come la separazione rappresenta un momento di forte cambiamento nella vita di una persona. Si è in gioco a 360° . . . come uomo/donna, come marito/moglie, come genitore. Si deve fare i conti con il fallimento di alcuni dei progetti di vita su cui si era investito. In questi momenti di cambiamento, passato il momento di forte turbinio emotivo, può essere molto d’aiuto trovare la forza di riscoprirsi.
L’esperienza del “condominio dei papà” rappresenta una dimostrazione di come a volte, la nostra società che frequentemente (a ragione veduta), ci troviamo a contestare, è capace anche di fornire aiuto sostegno e attenzione.
Osservando le due istituzioni educative per eccellenza, famiglia e scuola, registriamo una scarsissima presenza maschile tra le figure educative e questo rappresenta un fattore fortemente penalizzante. La figura paterna può svolgere un ruolo essenziale nella crescita di un figlio.
Quando il tutto è condito dalla motivazione, dal determinismo si potrà creare un ambiente di sviluppo affettivamente equilibrato e qualitativamente positivo.
Certamente è necessario essere disposti a mettersi in gioco, essere pronti a chiedere, guardarsi intorno, essere pronti a riscoprirsi, sapersi e volersi riscoprire.
E’ senza lavoro il 4,8% delle donne separate con figlio a carico e soltanto l’1% degli uomini separati.
Migliaia di donne dopo la separazione vengono a trovarsi in condizioni economiche di vera e propria indigenza, perché non hanno un lavoro e perchè i mariti, non di rado, non riconoscono o non sono in condizioni di riconoscere un assegno per la loro sussistenza.
Si sta diffondendo pericolosamente questo stereotipo dei padri separati nuovi poveri, al punto che anche Verdone ha sentito l’esigenza di dedicargli addirittura il suo ultimo film.
Se i papà si trovano a lasciare l’abitazione coniugale e a dover versare un mantenimento per i figli e in alcuni casi per l’ex moglie è soltanto perchè le donne incontrano, in generale, maggiori difficoltà lavorative o di reinserimento lavorativo.
Fin quando sono sposati ai mariti spesso sta bene che le donne restino a casa e pensino ai figli, oppure lavorino part-time per riuscire a fare la spesa e passare a prendere i figli a scuola, mentre loro seguono la loro carriera, ma poi, una volta separati si lamentano che le mogli non sono in condizioni di autosufficienza economica.
Così le difficoltà degli uomini divorziati vanno sui giornali, in televisione, navigano in internet, gli psicologi ci scrivono sopra degli articoli, mentre le difficoltà delle donne divorziate, come le difficoltà delle donne in generale, restano ancora una volta, come ogni volta, tra le pareti domestiche, insieme agli abusi, le piccole e grandi violenze, le discriminazioni di genere.
Sono secoli che ascoltiamo le voci degli uomini, dei mariti, dei papà. Pure su youtube, ora! Quanto vorrei cominciare ad ascoltare le voci, almeno una, di una donna, moglie, mamma.
Gentile Pesciolino Rosso,
la dinamica della separazione, come scritto nell’articolo, rappresenta un momento di forte difficoltà “oltre che per i figli, per i due coniugi ognuno nella propria individualità”.
Come tu ben sottolinei da secoli vengono ascoltate le voci degli uomini ma mi sento di dire che sono secoli che ci si pone in una prospettiva di battaglia tra i due ruoli.
L’iniziativa sociale “condominio per soli papà” rappresenta un braccio teso verso quella fetta di padri che non hanno intenzione di scappare dall’esercizio del loro ruolo genitoriale, e non credo sottenda che le mamme non abbiano bisogno di un sostegno.
Il dolore, la rabbia e tutte le emozioni che si attivano nel dover affrontare una separazione facilitano dinamiche emotivamente forti che possono frequentemente immobilizzare la gestione di questo momento e ciò non ha valore e peso diverso in base all’identità di genere.
In questi momenti di cambiamento, passato il momento di forte turbinio emotivo, può essere molto d’aiuto trovare la forza di riscoprirsi.
Quando sono in gioco sentimenti e problematiche così importanti, seppur sia molto complesso ed impegnativo, è necessario provare a scendere dal campo di battaglia.
Qualsiasi forma di ingiustizia, come tu giustamente sottolinei piccole e grandi violenze, le discriminazioni di genere, sono assolutamente da allontanare e fermare!
con attenzione a tutti coloro che sono attivi nella scoperta delle proprie risorse, sperando in un sempre più grande clima di rispetto e riconoscimento reciproci
un caro saluto
Chiara Iazzolino
Chiara, mi permetto di darti del tu perchè siamo colleghe. Tutto condivisibile quello che hai scritto. Ciò che voglio far notare io è la continua negazione sociale della sofferenza e dei problemi delle donne. Riesci a immaginarti un “condominio di mamme”? O hai mai sentito parlare di un’associazione di mamme separate? O di contributi economici o incentivi per entrare nel mondo del lavoro per le donne divorziate che non riescono a tirare avanti, anche perchè, spesso, i papà non rispettano le ordinanze del tribunale e non versano il mantenimento per i figli? Ecco, solo questo… va bene, poveri papà, il divorzio è duro per tutti, ma le donne dove sono?
La battaglia di genere continua e continuerà finchè saranno sempre e solo le donne a restare sul campo e se ha un senso parlare di uscire dalle dinamiche delle lotte di genere a livello individuale e familiare, come può avvenire questo se su un piano collettivo il dolore delle donne continua a essere ignorato, negato, se non considerato come la punizione inevitabile per il peccato originale?
Carmen