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Occhio a quello che dici!

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Psicologo Psicoterapeuta
Aree di Competenza: Ansia e Depressione, Ben-essere, Genitori e Figli
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Lo scorso 16 marzo 2010 una sentenza della Cassazione ha stabilito che dire “gay” a una persona con intento denigratorio è reato.

Il fatto ha visto coinvolti 2 vigili di Ancona tra loro in competizione per la nomina di comandante della polizia municipale. La condanna a pagare una multa per ingiuria è stata inflitta ad un vigile 60enne il quale, in una lettera, aveva fatto riferimento “all’ essere gay” del collega in relazione a due episodi: una vacanza con un marinaio e l’allontanamento da un club sportivo. La Suprema Corte ha stabilito che l’espressione fosse da censurare perché animata da un intento denigratorio esprime riprovazione per le tendenze omosessuali.

Le reazioni a tale sentenza hanno assunto colori diversi.

A uscire fuori dal coro della campane suonate a festa, è l’ex presidente nazionale di Arcigay, Aurelio Mancuso, il quale afferma:

«La cultura di questo Paese continua a essere arretrata.  L’appellativo gay non può essere un’offesa. È una condizione ormai considerata normale. Ci sono altri termini, come frocio o pederasta che possono essere sì considerati offensivi. Gay no».

Soddisfatta invece è Imma Battaglia, leader del Di Gay Project di Roma:

«Era ora che in Italia ci fosse, ufficialmente una condanna verso tutti quelli che utilizzano il termine gay in maniera offensiva. In più se si pensa, come nel caso preso in esame dalla Cassazione, che spesso si allude all’equazione tra gay e pedofilia questa sentenza va nella direzione giusta. E’ una vittoria non solo legale ma prima di tutto culturale».

Il significato va oltre la parola

La comunicazione (dal latino cum = con, e munire = legare, costruire e dal latino communico = mettere in comune, far partecipe) non è soltanto un processo di trasmissione di informazioni (secondo il modello di Shannon-Weaver). In italiano, il termine “comunicazione” ha il significato semantico di “far conoscere“, “rendere noto“.

La comunicazione è un processo nel quale un soggetto invia un messaggio al suo interlocutore e vuole che quest’ultimo pensi o faccia qualcosa. La comunicazione può assumere una modalità verbale e non verbale.

Albert Mehrabian, psicologo statunitense, è noto per i suoi studi diretti all’importanza degli elementi non verbali nella comunicazione faccia a faccia.

Secondo uno suo studio del 1967, durante una comunicazione, sull’interlocutore influiscono:

-per il 55% il linguaggio del corpo

-per il 38% la voce

-per il 7% il contenuto

Da questo studio viene sottolineato pertanto che il tono della voce, lo sguardo, la vicinanza fisica, la postura … pesano sulla comunicazione molto più rispetto al “messaggio vocale” (ciò che viene detto).

Inviare un messaggio con l’intenzione che all’altro arrivi tale messaggio purtroppo non è sufficiente.

I fraintendimenti … eppure io ho detto la verità!

Nel comunicare, ognuno di noi (emittente come destinatario della comunicazione) entra in gioco nella sua totalità. La nostra passata esperienza come la nostra personalità vanno ad influenzare il nostro modo di vedere le altre persone; il tutto anche se noi non ne siamo consapevoli. Se da una persona siamo abituati a ricevere battute sarcastiche, qualora questa persona scelga di farci un complimento senza fini sarcastici, la nostra interpretazione del suo tono della voce ci riporterà a quello a cui siamo abituati. Ecco quindi che se due colleghi, i quali non vanno generalmente molto d’accordo e che sono in concorrenza rispetto ad una crescita lavorativa, anche se utilizzano termini che potrebbero non avere significato negativo questi finiscono per assumere potere denigratorio.

Toni della voce alterati ed offensivi sono all’origine di molte discussioni e questo a diversi livelli di conoscenza (da quelle più superficiali a quelle più profonde).

Le parole che sentiamo toccano le corde dentro di noi, anche a livello inconscio; intrecciate con il nostro stato emotivo al momento dell’interazione ne determinano l’interpretazione del messaggio. Attraverso gli studi di Hall, nel campo della prossemica, scienza che studia le disposizioni spaziali all’interno di una dinamica comunicativa, si è analizzato l’effetto delle distanze e l’organizzazione delle disposizioni interne di uffici, scuole, carceri, ospedali, mostre.

Mettendo in rapporto distanza fisica e distanza sociale tra i diversi individui, sono state definite quattro “zone di relazione interpersonale”:

– la distanza intima, fino ai 45 cm nelle relazioni intime;

– la distanza personale (45-120 cm) nell’interazione tra amici;

– la distanza sociale (1,2-3,5 metri) per la comunicazione tra conoscenti;

– la distanza pubblica (oltre i 3,5 metri) per le pubbliche relazioni.

Fino ad ora la comunicazione è stata definita come un processo, un mezzo etc … sicuramente la sua natura è multifattoriale ed il suo potere è grande.

Quando ci sentiamo in difficoltà, quando sentiamo “occupato“ il nostro spazio, abbiamo paura.
Una delle cose proprio difficile da comunicare sono, le emozioni. Questo vale tanto per quelle positive che per quelle negative. Esplicitare le proprio emozioni rappresenta uno svelarsi all’altro/al mondo e questo può generare ansia.

Da questo a volte reagiamo difendendoci … attaccando.

La modalità comunicativa diventa espressione di questo dinamismo emotivo. Ed ecco che, a volte, questo si rende evidente con l’uso di termini aggressivi, mentre altre volte, seppur il filtro razionale agisca al fine di contenerne l’espressione, esso trapela attraverso l’universo della sfera “non verbale” della comunicazione.

 Voglio chiudere questo articolo con uno degli assiomi della comunicazione individuato dalla psicologia: non si può non comunicare.

 

 

Bibliografia

www.ansa.it

www.kaaj.com

www.ilsole24ore.com

Castelnuovo G., Ceriani A., Colantonio V., (2004), “La PNL nella formazione”, De vecchi Editore, Milano.

Watzlawich P., Beavin P., Jackson D. D., (1971),” Pragmatica della comunicazione umana”, Astrolabio, Roma

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