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Stress

Addio mia cara patria

La Libia

Ogni giorno arrivano notizie su sbarchi di clandestini, catastrofi naturale che portano l’abbandono di alcuni paesi. La stessa emergenza lavoro contribuisce allo spostamento in altre terre e in altre culture. Il nostro pianeta è ormai caratterizzato da continui cambiamenti geografici, climatici e culturali, non sempre è corretto assegnare valore negativo. La paura  e molto spesso lo stesso pregiudizio rendono difficile l’integrazione con gli altri ed il cambiamento.

E se improvvisamente ci venisse comunicato il necessario trasferimento entro pochi giorni, in un altro paese, con un’altra cultura e lingua; ci venisse detto che è l’unica soluzione per la propria situazione allontanarsi da tutto e lasciare tutti coloro che conosciamo, tutte le nostre abitudini, i nostri posti?

Queste sono solo alcune delle prime perplessità, dei primi timori che possono sopraggiungere tra i nostri pensieri, per tutte quelle persone che come i profughi, i clandestini, gli emigrati si trovano a domandarsi in quel preciso istante in cui arriva la comunicazione o viene comunicata la decisione, quale sarà il loro futuro e cosa li aspetterà.

Questa esperienza riguarda ogni giorno molte persone. Riguarda coloro che si allontanano da abusi di potere, dalla fame, dalla miseria totale affrontando spesso viaggi in cui perderanno la vita, viaggi pericolosi organizzati e sperati da tempo. Riguarda ogni giorno nel mondo coloro che cercano disperatamente di allontanarsi da condizioni di vita caratterizzate da continue guerre, da situazioni in cui la violenza si esprime nella quotidianità ed è considerata unico strumento necessario al mantenimento dell’ ordine. Per tutte queste persone, abbandonare la propria patria seppur mantenendo la speranza di poter tornare un giorno a riabbracciare i propri cari, può rappresentare una reale via di uscita, una nuova e concreta speranza di vivere e di migliorarsi.

Per quanto possano sembrare scelte fatte volontariamente, il trasferimento in un altro contesto può rappresentare come impatto psicologico, un vero e proprio esilio. Una costrizione, il timore di avere solo limitazioni, il dover rinunciare al proprio spazio, alla propria vita per seguire l’esigenze o le aspirazioni dell’altro. Allora si vive come una effettiva separazione e perdita, l’allontanamento da parenti e amici, dalle persone amate e dalla propria proprietà. E così anche quando si prospetta per alleggerire il carico, la possibilità del ritorno, questa può essere vissuta con sentimenti contrastanti e ulteriori difficoltà personali.

Queste esperienze così vissute, possono originare veri e propri traumi. Il vissuto estremo ed il dolore, possono rendere ancor più complicato e disfunzionali il nuovo inserimento e l’adattamento al nuovo contesto. Ugualmente l’abbandono forzato della propria quotidianità, può ugualmente determinare problemi di adattamento non sempre facili da superare. Soprattutto nelle situazioni in cui la separazione non ha seguito un percorso di motivazione personale può amplificare il vissuto di disagio, di impotenza che accompagna la persona nella sua nuova condizione. Un misto di passività e rabbia che possono portare all’implosione nel soggetto o a comportamenti altamente disfunzionali.

Nel caso in cui invece si presenti un evento estremo come un disastro ambientale, pur rimanendo nella propria patria, si ha come conseguenza dell’imponente cambiamento, la netta impressione che ci si trovi di fronte una realtà di luoghi, di necessità e di bisogni profondamente cambiata. La distruzione sia fisica che morale delle persone ha spesso un impatto devastante sui sopravvissuti  che si trovano spesso soli a dover ricominciare una nuova esistenza. Così, come nell’allontanamento forzato, la persona ricorda continuamente il momento dell’evento e l’impatto emotivo che ha avuto sulla propria persona.

Nel caso di disastro ambientale l’esperienza traumatica, quei pochi secondi o quei momenti infiniti vengono continuamente rivisti e rivissuti portando con sé un profondo senso di colpa per essere riusciti a salvarsi o per non aver fatto abbastanza. Tristezza, angoscia e apatia caratterizzano il vissuto di queste persone che può durare nel tempo anche a lungo. Mentre nel caso di un disastro ambientale una delle reazioni immediate dei sopravvissuti può descriversi come una fase di reazione all’evento caratterizzata da un certo attivismo che aiuta il sopravvissuto a gestire nell’immediato i diversi accadimenti, nei momenti successivi può trasformarsi i una vera e propria delusione e angoscia per l’attesa di un cambiamento improvviso, che spesso non arriverà

Si parla di traumatizzazione, nei casi di allontanamento dalla patria, per descrivere il vissuto delle persone in relazione a come vengono elaborate le condizioni che determinano l’obbligo al cambiamento. Tanto più si avvicina il momento di partire, tanto più si fanno incalzanti i preparativi anche burocratici, tanto più può emergere il vissuto di angoscia e timore per la gestione dei cambiamenti: qualcuno sta prendendo la decisione al proprio posto, attraverso azioni, comportamenti che rendono inevitabile l’accettazione del trasferimento, dell’allontanamento.

Successivamente a questi elementi si aggiunge la comprensione dell’allontanamento dalla propria quotidianità: rimanere isolati rispetto agli altri, essere allontanati dal loro affetto, dalla loro presenza o dall’idea di loro.  Questa fase può determinare nella persona un livello elevato di rabbia , di frustrazione  che potrebbe anche caratterizzare da quel momento in poi il vissuto della persona ed accompagnarla nelle proprie azioni quotidiane.

Molto spesso è proprio la rabbia, l’angoscia e la frustrazione che rendono quasi impossibile l’integrazione con la nuova cultura e le nuove persone. Il rischi è di rimanere legati nei ricordi e nei pensieri alla propria terra, a quella che era una realtà ormai lontana; il timore di non poter tornare a casa o di non avere mai la certezza di poterlo fare. Senza considerare come differenti culture possano effettivamente determinare un certo stress e fatica nella integrazione e comprensione delle nuove regole.

Regole, norme e valori profondamente diverse dai propri, possono determinare difficoltà non solo psichiche ma anche interpersonali.

Per quanto il nostro pianeta sia ormai caratterizzato da continui cambiamenti geografici, climatici e culturali, non sempre è corretto assegnare valore negativo. Per rimanere in terra nostrana spesso è il pregiudizio che rende difficile l’integrazione con gli altri ed il cambiamento.

In questi ultimi giorni nelle sale cinematografiche, campione di incassi è proprio una pellicola che tratta questi aspetti. Il pregiudizio basato ovviamente su una serie di idee distorte della cultura altrui, rende assolutamente inconciliabile la differenza con l’altro. Anzi la trasforma, stravolgendola affidandola a luoghi comuni e banalità  che pur facendo un certo effetto a chi le condivide, suonano come assurge e fantasiose per chi ne è vittima.

Molti paesi proprio su questo concetto, si attivano per organizzare corsi di lingua che consentono ai nuovi arrivati di avere a disposizione uno strumento fondamentale come quello della comunicazione per organizzarsi verso l’interazione con l’altro e non rimanere isolati. Questo elemento consente di facilitare un progressivo adattamento alla cultura che ci ospita e di adattarsi alle regole di comportamento che sono presenti nelle diverse culture.

Per quanto l’attenzione di ogni paese, debba essere quella di dare strumenti utili ai nuovi arrivati, di fornire tutele e possibilità all’integrazione, non possiamo dimenticarci come il vissuto soggettivo possa essere tale da elaborare l’impatto del cambiamento come sintomatologia post traumatica. Non importa dunque che il cambiamento sia più o meno intenso. Ciò che conta maggiormente è  il significato che viene attribuita dai singoli individui, all’ esperienza che devono affrontare.

L’idea piuttosto condivisa è che il manifestarsi di questo disturbo possa essere causato dalla interazione di più fattori: le caratteristiche dell’evento considerato come traumatico quali ad esempio la sua durata, il grado di esposizione e la gravità; dalle caratteristiche del soggetto definite in relazione alla propria storia personale, alle esperienze pregresse, alle condizioni di salute in cui si trova la persona in quello specifico momento della propria vita; dai fattori ambientali  come ad esempio la presenza di supporti sociali, la possibilità di avere un sostegno per il trattamento dei sintomi nel loro manifestarsi.

Un aiuto importante può essere ricevuto dal sostegno psicologico che può essere fornito anche a distanza al fine di gestire i sentimenti negativi della persona e le difficoltà specifiche derivate dal trauma e contemporaneamente sostenere la persona all’integrazione, alla scoperta e alla conoscenza della nuova cultura e degli usi del nuovo paese.

Bibliografia

Legrenzi P., (1995) Manuale di psicologia generale, Il Mulino, Bologna

Klerman G., Weissman M., et al, ( 1984) Psicoterapia interpersonale  della depressione, Bollati Boringhieri, Torino

Erikson E.H., ( 1960), Identity and uprootendness in our time, in Uprooting and resettlement, World Federation for Mental Health, N.Y.

Horowitz M.J.,(1986), Stress response syndromes: a review of post traumatic and adjustments disorders, Hospital and Community Psychiatry , 37

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