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Crescere sordo in un mondo di udenti

Crescere sordo in un mondo di udenti
Psicologo
Aree di Competenza: Ansia e Depressione, Ben-essere, Genitori e Figli
Cell.: 347/6790034

 

Crescere sordo in un mondo di udenti

Cosa significa crescere sordi in un mondo di udenti, in una scuola di udenti e in una famiglia di udenti? Oltre alle difficoltà già insite nel processo di sviluppo di identità e di autonomia, il deficit sensoriale e l’assenza di un codice linguistico possono aumentare ancora di più nel bambino/ragazzo sordo il senso di isolamento, “diversità” e angoscia.

Immaginiamo di svegliarci una mattina e non essere più in grado  di sentire nulla. La sveglia suona ma noi non la sentiamo e solo  per fortuna c’è qualcuno accanto a noi che ci sveglia per farci alzare. Usciamo per andare a lavoro o a scuola, prendiamo l’autobus e ci imbattiamo in una folla di gente che muove velocemente le labbra e si agita gesticolando senza capire nulla di ciò che sta dicendo. Torniamo a casa, accendiamo la televisione e ciò che ci appare è solo una scatola ferma su cui si muovono delle immagini senza riuscire a capire nulla. Aspettiamo con ansia il telegiornale con i sottotitoli ma qualche minuto prima siamo colti da un imprevisto e arriviamo tardi a capire poco anche la prima notizia!

Forse alcune cose possono sembrarci assurde o avere dell’inverosimile, eppure queste e tante altre situazioni sono pane quotidiano per le persone sorde, che sono costrette ad adattarsi con estrema difficoltà ad una società e ad un mondo fatto a misura di udente. Purtroppo, che ci piaccia o no, siamo talmente tanto abituati a fare delle cose nel quotidiano che nemmeno ci rendiamo conto di POTERLE fare e non sempre si è poi capaci di comprendere al volo una realtà diversa dalla nostra.                                                                                                                                                                    Quando un bambino è piccolo, sia che egli sia sordo oppure udente, può godere della grande protezione della famiglia, che gli viene però poi a mancare quando comincia ad andare a scuola ed è costretto a confrontarsi con un mondo in cui non sempre c’è chi è pronto a capire e a lasciar correre come possono fare mamma o papà. Questo vale ancora di più per il bambino sordo, il quale, a causa del suo deficit, dipende ancora  di più dal genitore accudente (nella maggior parte dei casi la mamma), vivendo il contatto con il mondo esterno in modo ancora più traumatico. Oltre al grosso disagio della separazione poi, che vivono anche i bambini udenti, i bambini sordi sentono molto anche la loro particolare condizione e possono mettere in atto comportamenti di protesta come ad esempio rifiutarsi di mettere le protesi a scuola. Inoltre, soprattutto nei bambini figli di genitori udenti abituati ad avere rapporti solo con coetanei e adulti udenti, la percezione della propria differenza può essere così esasperata da indurli a credere di non poter diventare grandi con la conseguente convinzione che non potranno mai avere una loro vita, un lavoro o una famiglia.
“Non mi vedevo diventare grande. Mi vedevo rimanere piccolina. Per tutta la vita. Mi credevo limitata al solo stato presente. E soprattutto, mi credevo sola al mondo… Non ero in grado di comunicare come gli altri, perciò non potevo essere come gli altri, i grandi che ci sentono… non avevo mai visto adulti sordi… Perciò in cuor mio, i bambini sordi non diventavano mai grandi.”

Diventa dunque necessario che il bambino sordo si confronti e si identifichi fin da piccolo con un adulto simile a lui che possa offrirgli un modello sia da un punto di vista comunicativo linguistico che dello sviluppo identitario. In questo senso allora l’incontro a scuola con un educatore sordo per esempio, in un momento così delicato per i genitori, da un lato rappresenta un sostegno e una risposta alle loro ansie circa il futuro del loro piccolo e dall’altra dà fiducia al bambino nella sua possibilità di diventare grande.                                                   

Nel corso dello sviluppo il bambino sordo vive costantemente tra il bisogno dell’altro e quello di indipendenza e questo ancora di più quando diventa adolescente. Al di là della sordità infatti, durante questa fase dello sviluppo avvengono, come sappiamo, dei grandi cambiamenti sia fisici che cognitivi: il ragazzo non è più un bambino ma non è neanche un adulto e se da una parte tende a staccarsi dalla famiglia per raggiungere una sua identità e autonomia, dall’altra sente ancora il bisogno di rimanere in una situazione di sicurezza e di dipendenza dalle figure genitoriali. La famiglia dall’altra parte deve modificarsi per assolvere alcuni importanti compiti evolutivi, e dunque i genitori  si trovano nella difficile posizione di  dover garantire confini definiti ma “elastici” per favorire l’esplorazione dell’ambiente extra familiare senza però rinunciare alla protezione e comprensione. Quando un ragazzo poi è sordo tutte queste difficoltà sono ancora più amplificate e traumatiche. Alla crisi di identità bambino/dipendente-adulto/indipendente infatti si aggiunge anche la crisi rispetto alla“diversità” e allo “svantaggio”, il problema dell’immagine corporea è rafforzato dalla scoperta della “diversità” vissuta come ferita narcisistica molto forte in un momento in cui l’integrità fisica assume un forte significato simbolico e anche l’identificazione con i pari diventa difficile perché restituisce un’identità “diversa” e “imperfetta”. E’ necessario allora che fin da quando il bambino è piccolo si possa trovare il modo più adeguato per comunicare con lui che gli permetta di esprimere i suoi bisogni e le sue emozioni affinchè, in questa delicata fase adolescenziale in cui il ragazzo fa davvero i conti con la sua disabilità, un’adeguata comunicazione possa aiutarlo nella costruzione della sua identità. In generale, ma ancora di più per un bimbo sordo, fare esperienza di una comunicazione adeguata è molto importante perché se ci sono delle differenze in questo senso aumentano anche le difficoltà di svincolo poiché all’incomprensione generazionale tipica dell’adolescenza (genitori/figli), si sommerebbe anche quella comunicativa(udente/sordo).

Sarebbe importante allora esporre il bambino sordo fin da piccolo sia all’ italiano che alla lingua dei segni, questo perché apprendere un codice che viaggia su un canale per lui non deficitario (visivo-gestuale) gli permette intanto di fare conoscenza del mondo e delle cose, mantenendo vivo il processo di apprendimento e impedendo un ritardo sul piano cognitivo per poi favorire anche l’apprendimento dell’italiano, ma soprattutto gli consente di esprimere pensieri, bisogni ed emozioni che altrimenti rimarrebbero inespressi aumentando fortemente il senso di isolamento, di “diversità” e  di angoscia.
       
Bibliografia:
Tomassini R. (1999), Echi dal silenzio: l’adolescenza nelle famiglie con figli sordi Meltemi, 1999).
Bosi B.; Maragna M.; Tomassini R. (2007), L’assistente alla comunicazione per l’alunno sordo. Chi è, cosa fa e come si forma. Manuale di riferimento per gli operatori, le scuole e le famiglie.

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