News
Alda Merini e la poesia della follia

“Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta…”
(Alda Merini, da Vuoto d’amore, 1991)
Si è spenta ieri, 1 Novembre 2009, Alda Merini, una delle voci più forti e calde della poesia italiana contemporanea. Una vita travagliata, difficile, che ripercorre anche la storia della psichiatria italiana degli ultimi anni.
Era nata a Milano nel 1931, il 21 marzo; fin da giovanissima manifesta la sua passione per la poesia (anche se viene rifiutata al liceo perché non supera l’esame di italiano…). Ma all’adolescenza risalgono anche le prime manifestazioni della sua malattia mentale e i primi ricoveri negli ospedali psichiatrici.
Poesia e follia sono un binomio strettissimo nella vita di Alda Merini, e di fronte ai suoi versi, come a quelli di Dino Campana, viene da chiedersi se non sia vero che ciò che appare agli occhi dei bambini e dei folli non sia invisibile ai più…
“Io quando scrivo, è come se dormissi ed entrassi nel profondo della mia anima. Mi fa paura il risveglio, il contatto matematico, aggressivo con la realtà dalla quale vorrei finalmente slegarmi.” (A. Merini, Diario di una diversa, 2006)
Nella sue opere ha cantato l’amore, colorandolo con una sensibilità sopra le righe, ma è stata anche la voce di una forte denuncia sociale, raccontando delle scomode verità.
Ha vissuto la realtà dura del manicomio, quello denunciato e combattuto da Basaglia, in cui il malato mentale, peso e vergogna per la società, veniva spersonalizzato e relegato, e spesso non ne usciva più. Camicie di forza, elettroshock, isolamento… sono alcuni esempi di come veniva intesa l’assistenza psichiatrica in quegli anni.
La “legge Basaglia”
Il 13 maggio 1978 viene approvata la legge 180, nota come “legge Basaglia”, proprio dal nome dello psichiatra che si oppose con forza e determinazione al modo in cui venivano trattati i pazienti psichiatrici all’interno delle strutture, e che da Trieste aveva iniziato una vera rivoluzione.
“La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d’ essere”. (F. Basaglia)
La legge prevedeva la chiusura dei manicomi, restituendo al territorio e alla società il compito di riabilitare e curare.
Man mano sono nati i centri di salute mentale, i centri diurni, le case famiglia…; il cammino è stato lungo, se pensiamo che l’ultimo manicomio è stato chiuso nel 2002…
E una volta fuori?
“Il manicomio che ho vissuto fuori e che sto vivendo non è paragonabile a quell’altro supplizio che però lasciava la speranza della parola. Il vero inferno è fuori, qui a contatto degli altri, che ti giudicano, ti criticano e non ti amano. Non si possono educare gli infermi della criminalità umana ad amare coloro che hanno sofferto di una frusta ingiustificata…” ( A. Merini, Diario di una diversa, 2006)
La legge 180 ha rappresentato una svolta, ma forse la società non era preparata; non esistevano delle strutture alternative ai manicomi, e soprattutto lo stigma del “pazzo” era un marchio a fuoco, che pervadeva la personalità. Anche le famiglie si sono trovate impreparate e spiazzate nel dover gestire una situazione spesso più grande di loro.
A 30 anni dalla 180…
Oggi, a 30, anzi 31 anni dalla Legge Basaglia, non possiamo dire purtroppo che il problema sia stato risolto. Rimane ancora il problema dell’inadeguatezza di molte strutture, per volontà politiche diverse e per mancanza di fondi.
Ma rimane anche la stigmatizzazione e la paura nei confronti di chi è portatore di disturbo mentale o di disagio psichico in generale. E’ per questo che allora come adesso sono fondamentali, accanto alle cure psichiatriche, interventi di sostegno psicologico e di ascolto alle famiglie e l’incremento delle possibilità di inserimento sociale e lavorativo, anche come forma di riabilitazione. Altrettanto importanti poi, sono gli interventi di prevenzione volti alla valorizzazione della diversità come risorsa, come insieme di colori che solo insieme possono formare un arcobaleno.
“Caro amico, il Diario è nato a dieci anni dalla cosiddetta dimissione dal manicomio che io non ho accettato. Tanto è vero che ho continuato a rivisitarlo con amore e nostalgia negli anni che ho vissuto dopo. Questa mia rassegnazione al dolore eterno del manicomio è stata vista male e mal compresa da tutti. Ma la cosa più bella che ho potuto fare in ospedale dieci anni dopo è di ripensarlo al di fuori del suo quotidiano orrore, ricostruendo in me entità nascoste di forze di dannazione. Cosa che può fare solo un poeta…”.
(A. Merini, Diario di una diversa, 2006)
Fonti
- A. Merini, L’altra verità. Diario di una diversa, Rizzoli, 2006
- www.aldamerini.com
- www.italialibri.com